Ma andiamo per ordine. Come già detto la nostra società si era assunta la responsabilità di denunciare all’Autorità giudiziaria penale (dopo avere per anni tentato invano di sensibilizzare il settore e gli organi preposti al controllo) la gravissima situazione sopra menzionata. All’esito della denuncia, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Chieti aveva chiesto il rinvio a giudizio dei legali rappresentanti di alcune società distributrici di Gpl contestando il reato di cui all’articolo 515 del codice penale (Frode in commercio) nonché dell’articolo 517 (Vendita di prodotti industriali con segni men daci). Venne inoltre contestata alle società la violazione dell’art. 25 del D.Lgs. 231/2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300). Queste contestazioni furono formulate su ordine del Giudice delle Indagini preliminari, il quale dispose l’imputazione coatta in ragione delle conclusioni cristallizzate in una perizia tecnica all’esito di un incidente probatorio. L’ipotesi di accusa contestava la violazione del Decreto legislativo 93/2000 e del Decreto ministeriale n. 329 del 1.12.2004, precisando che il ricondizionamento dei serbatoi sarebbe avvenuto nell’inosservanza delle suddette norme e che i manufatti trasformati risultano privi del marchio CE. Inoltre, alcuni dei serbatoi ricondizionati oggetto d’indagine risul tavano proprio costruiti dalla nostra azienda e risultavano modificati senza nessun tipo di indicazione sul soggetto che li aveva ricondizionati. Anzi, l’Autorità giudiziaria, attraverso la perizia (eseguita su otto serbatoi), aveva verificato che la prassi adottata in Italia sul ricondizionamento risultava applicata perlomeno dall’anno 2005. Su questa base probatoria era stato avviato il procedimento penale che è tuttora in corso. La vicenda ebbe anche un certo rilievo sulla stampa, come conferma il seguente articolo a firma di Gianluca Lettieri pubblicato il 7 novembre 2018:
Serbatoi Gpl fuorilegge, in 4 a processo
Sotto accusa i bomboloni ricondizionati e interrati, la procura contesta il reato di frode: impianti senza marchi, utenti ingannati
Arriva a processo un’inchiesta della procura di Chieti sui serbatoi di Gpl interrati e ricondizionati senza rispettare la legge. Un’indagine che è destinata a diventare un caso nazionale: sono 900mila i serbatoi potenzialmente irregolari secondo i calcoli dell’Aipe, l’associazione delle imprese di caldareria. Il sostituto procuratore Giancarlo Ciani ha citato a giudizio quattro grossi distributori di gas gpl e le rispettive società (queste ultime per responsabilità amministrative) (…). L’accusa è di presunta frode in commercio: la prima udienza è stata fissata al 3 dicembre.
Il problema nasce dal fatto che l’utente finale, quando dispone di un serbatoio esterno, ha spesso interesse a riconvertirlo per interrarlo. E questo passaggio andrebbe fatto seguendo precise norme europee che, nei 6 casi contestati alle società finite sott’accusa, non sarebbero state però rispettate. A far scattare l’inchiesta in cui i costruttori di serbatoi risultano parti offese è stato uno dei giganti del settore, la Walter Tosto di Chieti Scalo. I serbatoi ricondizionati, infatti, vengono dati agli utenti in comodato d’uso dalle ditte di distribuzione del gas, ma rimangono di proprietà della casa costruttrice. La stessa Wts ne ha messi tantissimi sul mercato e, di conseguenza, non vorrebbe vedersi addebitare ipotetiche future colpe causate da impianti pensati per uso esterno e, successivamente, ricondizionati da altri per essere interrati. L’imputazione è la stessa per tutte le società (…). Gli impianti in questione risultano dunque privi del marchio della Comunità europea (CE). In sostanza, si legge sul capo d’imputazione, «all’utente finale non veniva fornita alcuna informazione sulla modalità di ricondizionamento dei serbatoi installati presso la sua proprietà inducendolo così a ritenere che fossero conformi ai requisiti di legge, così come dichiarato dalla società distributrice». Nel corso dell’inchiesta, che ha portato al sequestro dei serbatoi ritenuti irregolari e installati tra Francavilla, Bucchianico, Orsogna, Pollutri e Archi, il perito del giudice ha affermato che gli impianti esaminati «erano in pessime condizioni: presentavano isolamento realizzato con materiale non idoneo; limiti significativi nei sistemi di sicurezza e protezione». E in uno dei casi analizzati il marchio CE era addirittura falso.
A quel punto cosa successe? Con l’incidente probatorio eseguito nell’ambito del processo penale vennero rimossi dalla sede interrata i “serbatoi ricondizionati” e l’esame visivo di tali manufatti (tutti esaminati dal perito) rilevò la gravità delle criticità relative alle modalità di installazione e di controllo, ai presidi di sicurezza degli stessi e alle procedure di certificazione CE. Il tutto come meglio descritto e cristallizzato nella consulenza formatasi nel contraddittorio delle parti. Una delle cose più rilevanti evidenziate nell’ambito della perizia si identificava nel fatto che le modalità di ricondizionamento dei serbatoi erano state eseguite in totale difformità rispetto agli standard costruttivi europei previsti e disciplinati dalla direttiva Ped recepita in Italia dal decreto legislativo 93/2000.
Questa relazione aveva e ha posto in evidenza le gravissime difformità accertate sui “serbatoi ricondizionati” oggetto della perizia: che cioè si trattava di manufatti costruiti tra il 1987 e il 1997; che nessuno dei serbatoi esaminati risultava aver rispettato le regole di installazione e al perito non erano stati forniti i documenti richiesti quali libretto d’uso e manutenzione; che nessuna documentazione inerente la manutenzione era stata effettuata sul serbatoio, così come nessuna certificazione appariva sulla valvola di taratura. Inoltre, le protezioni con anodi sacrificali risultavano per la gran parte inutilizzabili e in alcuni casi esse non erano state installate, il rivestimento in vernice epossidica risultava spesso gravemente danneggiato e in alcuni casi addirittura mancante, mentre la documentazione fotografica attestava le più che approssimative condizioni di installazione del serbatoio e lo stato di degrado dello stesso (si consideri che uno dei serbatoi ricondizionati risultava protetto con un anodo sacrificale custodito in un fondo di vaso di coccio e lo stesso anodo risultava chiuso con un “tappo di bottiglia per spumante”). E ancora: la gran parte dei serbatoi era stata installata presso l’utente finale senza la fornitura del libretto di uso e manutenzione. Infine, in molti casi, i serbatoi ricondizionati risultavano privi dei certificati di prevenzione incendi. Questi dati che ho voluto riassumere costituiscono, pur nella loro sinteticità, un quadro preoccupante e dimostrano che la tipologia dei “serbatoi ricondizionati” è stata utilizzata per superare coscientemente i parametri costruttivi previsti dalla legge italiana che ha recepito (lo ripeto) la disciplina europea. In un altro caso, fra quelli oggetto del procedimento penale, era stato accertato che sul serbatoio risultava apposta addirittura una falsa etichettatura CE. Ma non è tutto.