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Perché le bollette si gaseranno. Parla l’authority dell’energia

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Che cosa ha detto il presidente dell’authority di settore Arera, Stefano Besseghini, sull’aumento dei prezzi del gas e delle emissioni di CO2

I “responsabili” dell’aumento delle bollette di luce e gas da luglio – rispettivamente +9,9 e +15,3 per cento – sono il “prezzo del gas sui mercati internazionali” e i “diritti per le emissioni di CO2”, ovvero il mercato europeo per la compravendita di quote di inquinamento. Lo ha spiegato oggi il presidente di Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), Stefano Besseghini, al quotidiano la Repubblica. “Fino a quando i loro valori resteranno ai massimi sarà difficile che ci possa essere una inversione di tendenza”, ha detto Besseghini. “Anche perché sono strettamente connessi alla transizione energetica in atto. Per questo motivo occorrono interventi strutturali a sostegno dei consumatori e delle imprese, sulla scia di quelli già presi dal governo”.

COSA HA FATTO IL GOVERNO

Per tamponare l’aumento del costo delle bollette energetiche per i consumatori, il governo Draghi ha destinato 1,2 miliardi di euro del decreto Lavoro e imprese alla riduzione degli oneri di sistema. Senza questo intervento, il rincaro delle tariffe sarebbe stato maggiore: 280 euro all’anno in più per famiglia, invece che 50, secondo il Corriere della Sera.

COSA SUCCEDE AI PREZZI DELL’ENERGIA IN EUROPA

I prezzi dell’elettricità e del gas stanno crescendo un po’ ovunque nel mondo, dagli Stati Uniti all’Europa all’Asia: c’entra la ripresa dell’economia e quindi della domanda energetica, favorita a sua volta dall’andamento delle campagne di vaccinazione contro il coronavirus e dalla rimozione delle restrizioni. L’impennata dei costi si sta facendo sentire molto in Europa: stando a Bloomberg, i prezzi del gas sono aumentati di quasi il 90 per cento quest’anno. Le cause sono essenzialmente due. Da un lato, lo scorso inverno è stato più freddo del solito: c’è stata una grande domanda di energia per il riscaldamento e ora le scorte sono su livelli bassi. I livelli di inventario di luglio sono infatti ai minimi da oltre un decennio. Dall’altro lato, l’offerta non è sufficiente. La Russia non sta inviando volumi sostanziosi di gas naturale verso l’Europa attraverso l’Ucraina. E i paesi asiatici stanno acquistando (e rimuovendo dal mercato) tanti carichi marittimi di gas naturale liquefatto (GNL), necessari per l’alimentazione dei sistemi di raffrescamento contro il caldo estivo. Il quadro potrebbe venire aggravato dalla chiusura, nei prossimi giorni, di due gasdotti: il Nord Stream 1 tra Russia e Germania chiuderà per dieci giorni per lavori di manutenzione; fuori uso sarà anche la condotta Yamal-Europe (dalla Siberia russa alla Germania), dal 6 al 10 luglio.

BRUCIARE IL CARBONE?

Per garantire forniture di energia elettrica adeguate e a prezzi abbordabili, visti i costi del gas, Bloomberg scrive che l’Europa dovrà bruciare maggiori quantità di carbone: anche l’output degli impianti di fonti rinnovabili, infatti, è basso.

LA RIFORMA DEL MERCATO DELLE EMISSIONI

Non è tutto. Il 14 luglio la Commissione europea dovrebbe presentare la riforma per l’inasprimento delle condizioni del mercato delle emissioni (ETS), in modo da favorire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030. Si tratta di un sistema che permette alle aziende di vendere e acquistare delle quote di emissioni di CO2 che vengono assegnate loro ogni anno. Il tetto massimo delle emissioni concesse alle imprese o alle società energetiche viene progressivamente abbassato per ridurre la possibilità di inquinare, mentre il prezzo delle quote di CO2 si alza, andando a sostenere il passaggio alle fonti di energia pulite. Repubblica scrive che tre anni fa queste quote avevano un prezzo di 5 euro per tonnellata di CO2; nell’ultimo anno però sono arrivate a 25-50 euro a tonnellata, fino a un massimo storico di 56. Questi prezzi, scrive il quotidiano, “vengono poi ribaltati su tutta la filiera e finiscono per esser essere pagati dalle aziende e dalle famiglie. In buona sostanza, imprese e consumatori rischiano di pagare le politiche per il contenimento delle emissioni”.

COSA DICE BESSEGHINI

Il presidente di Arera, Besseghini, ha detto a Repubblica che a breve “la Ue rivedrà i meccanismi delle regole con cui vengono distribuite le quote. Ma è difficile che i prezzi possano calare, perché lo scopo con cui sono nati i diritti è quello di fare efficienza. Per cui le aziende saranno invogliate a farlo solo se i costi di diritti rimarranno alti”. Secondo Besseghini “occore ‘giustezza della transizione’” dai combustibili fossili alle rinnovabili: “non bisogna far pagare a imprese e cittadini lo scotto della transizione”, ha aggiunto. “Già abbiamo abbastanza opposizioni alle rinnovabili, non possiamo anche aggiungere le proteste per il caro bolletta”. Per contenere i rincari delle bollette, il presidente dell’authority propone di utilizzare i fondi che i singoli paesi europei ottengono dalle vendita delle quote di CO2. È quello che ha fatto il governo Draghi nei giorni scorsi.
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Shock prezzi materie prime: previsti cambiamenti sul mercato internazionale PLATTS

Prezzi materie prime alle stelle: che fare, che cosa cambia per l’Industria

di Marco Scotti ♦︎ Quotazioni previste in rialzo ancora per lungo tempo. La supply chain post-Covid si è scoperta vulnerabile. L’incidente del Canale di Suez o l’attacco hacker all’oleodotto americano hanno mostrato come il Coronavirus abbia ridotto ai minimi le scorte. E ora che stiamo ripartendo servirebbe avere a disposizione maggiore profondità di magazzino. La Cina si sta ulteriormente arricchendo, i dazi non sembrano poter sparire in tempi brevi. E l’Europa non sa che pesci pigliare. Ne parliamo con Flavio Bregant (Federacciai) e Roberto Ariotti (assofond).

La pandemia da Coronavirus ci ha resi fragili non soltanto perché ha scardinato le certezze, ma anche e soprattutto perché ha mostrato le contraddizioni dell’economia mondiale. E per farci capire che qualcosa non stesse andando, non è servito tanto il blocco di qualsiasi attività produttiva come avvenuto durante il primo lockdown, ma piuttosto il ritorno alla normalità, scandito da eventi che normalmente sarebbero stati degni di qualche trafiletto e che hanno invece occupato le prime pagine dei giornali per giorni. La nave che ha bloccato il Canale di Suez; l’attacco hacker che ha paralizzato l’oleodotto americano; il maltempo che ha flagellato il mondo occidentale. Tutti eventi tutto sommato “normali” che hanno però mostrato ulteriormente la debolezza strutturale di un’economia che ha – per assurdo – sopravvalutato gli effetti della pandemia e ha invece sottostimato le conseguenze sul lungo periodo. Spieghiamoci meglio.

Durante i primi mesi del Coronavirus, le aziende hanno di fatto azzerato gli ordini e si sono poste in modalità “sopravvivenza”, aspettando che passasse la buriana. Questo ha avuto due effetti immediati: il primo, statistico, che ha fatto registrare il primo tasso negativo del prezzo del petrolio sul Brent. Il secondo, concreto, che ha mostrato come terminata la fase acuta, ci sia stata una grande corsa non soltanto per ricomprare materie prime utili per la produzione, ma c’è stata anche una richiesta aggiuntiva, per ricostituire le scorte. E si è creato il cortocircuito che ha portato all’impennata dei prezzi, per la totale carenza di materie prime disponibili. Attenzione perché non si tratta di un semplice aumento dei costi, ma di un potenziale tsunami che – se non mitigato da azioni governative – potrebbe portare a un’altra crisi sistemica che metterebbe forse definitivamente in ginocchio le economie.

Lo scorso 17 maggio Ferruccio De Bortoli, sulle pagine del Corriere Economia, ha ricordato come ci siamo fatti distrarre dal potere del digitale che sembrava poter risolvere qualsiasi problema. Invece, ha scritto l’ex direttore del Sole 24 Ore, “l’economia è ancora pesantemente fisica. Tutto questo enorme trambusto sui mercati, che ha già causato a valle consistenti aumenti di prezzo in alcune filiere, quando e come si trasferirà sui consumi finali? Una piccola fiammata inflazionistica è già in atto come conferma l’ultimo dato sull’andamento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti (+4,2% su base annua)”.

Che cosa dobbiamo aspettarci, dunque? Industria Italiana l’ha chiesto a Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai e al presidente di Assofond Roberto Ariotti. Abbiamo rivolto la nostra attenzione al grande mondo della siderurgia perché rappresenta quello più importante dal punto di vista strategico in Italia. Attualmente il Belpaese è il tredicesimo player globale, e il secondo europeo, dopo la Germania. La siderurgia dà lavoro a 33.400 persone, inserite in una filiera molto articolata: produzione di acciaio e prima trasformazione, centri servizio, distribuzione, commercio di rottame e ferroleghe, taglio e lavorazione della lamiera, utilizzatori. E ha ricavi per quasi 60 miliardi di euro. Conta, nei diversi segmenti, gruppi con fatturati miliardari, come Duferco, Arvedi di Cremona, Danieli di Buttrio, Feralpi di Lonato del Garda, le Acciaierie Venete di Padova, Ori-Martin di Brescia, FinMar (Marcegaglia) di Mantova, e altri. E da noi sono presenti anche importanti produttori stranieri, come la già menzionata ArcelorMittal, come l’indiana JSW che ha acquisito lo stabilimento Lucchini di Piombino, o come ThyssenKrupp in Acciai Speciali Terni, che rappresenta il 15% del fatturato industriale umbro. E ci siamo rivolti ad Assofond perché ci ha fornito alcuni dati particolarmente allarmanti per quanto concerne l’incremento dei prezzi. È il caso della ghisa, che è passata da una media di 319 euro per tonnellata a settembre 2020 ai 521 di maggio di quest’anno.

 

1. FEDERACCIAI

Una situazione dovuta solo in parte al Covid

Tutte le materie prime – e non solo quelle della siderurgia – sono sotto pressione ormai da tempo. Il prodotto d’acciaio ha la peculiarità di essere fondamentale per tutta la manifattura, ma è anch’esso soggetto a crisi della reperibilità di materie prime in ingresso, ovvero il minerale di ferro e il rottame. A monte di questa tensione, comunque, c’è da segnalare una geodinamica piuttosto complesso, che ha visto il significativo incremento del costo del rottame tra il 2020 e il 2021. Il motivo essenziale dell’incremento dei prezzi, dunque, va sicuramente ricercato nel gap fra domanda e offerta. Si tratta di una situazione che ha iniziato a verificarsi nella primavera 2020, quando i lockdown che la pandemia ha imposto più o meno in tutto il mondo hanno ridotto drasticamente la produzione di materie prime.

«Tutti i paesi – ci spiega Bregant – hanno avuto delle riduzioni di pil, con conseguente calo della produzione di acciaio. Basti pensare che in Italia, tra marzo e aprile del 2020 la produzione era scesa del 40% prima di riuscire a recuperare in modo straordinario e chiudendo sotto di “solo” il 12%. Ma va notato che la produzione a livello mondiale di acciaio è rimasta sostanzialmente costante. La Cina, che rappresenta il 56% della siderurgia mondiale ha incrementato la sua produzione del 7% nonostante sia stato il primo paese a venire colpito. Le industrie manifatturiere che si sono fermate hanno quindi consumato le scorte. A fine anno, con l’inizio della ripresa, la Cina ha continuato a crescere in maniera costante dal punto di vista siderurgico e nel primo trimestre ha fatto +15%. Era un paese esportatore, ma l’incremento dello stimolo interno ha portato a un aumento del 144% dell’import».

Questa dinamica ha sostanzialmente tolto dal mercato una quota significativa dell’acciaio presente. Nel primo trimestre del 2021, d’altro canto, gli Stati Uniti hanno diminuito la produzione siderurgica del 5%, il che significa che anche loro hanno iniziato a importare moltissimo materiale. La Turchia, negli ultimi mesi del 2020, è riuscita a entrare negli Stati Uniti nonostante vi sia una barriera di protezione che prevede il 25% di dazio per tonnellata.

«La seconda ragione dell’incremento dei prezzi – continua Bregant – è tecnica. La produzione di acciaio, infatti, avviene o dal minerale di ferro o dal rottame. La Cina è molto sbilanciata: il 90% della sua produzione arriva nel primo modo, e questo fa aumentare a dismisura il costo di approvvigionamento. Anche l’Europa ha uno sbilanciamento del 70% verso il ciclo integrale. L’Italia, invece, ha l’80% della sua produzione che viene realizzata tramite forno elettrico con rottame. E questo si è riverberato sulla ripresa: nel primo trimestre siamo cresciuti del 19%, contro l’1,7% della Germania. E ad aprile siamo saliti ulteriormente».

Quello che appare evidente, dunque, è che le tensioni sul rottame continueranno anche perché c’è un terzo tema. L’Europa, con il Green New Deal, ha dichiarato di voler procedere con una robusta decarbonizzazione della produzione, puntando su altre forme di energia come l’idrogeno. Ma per portare avanti questa transizione, il modo più immediato per farlo è passare dal ciclo integrale a quello elettrico, facendo aumentare la richiesta di rottame. C’è però un problema: che la Cina ha già messo un dazio del 40% all’esportazione di questa tipologia di materiale siderurgico e lo stesso hanno fatto Russia e Ucraina. L’Europa, invece, esporta il rottame e ogni anno cede 17 milioni di tonnellate. La situazione tornerà a stabilizzarsi solo nel 2022. Secondo gli economisti di Intesa Sanpaolo, infatti, almeno tutto il 2021 sarà soggetto a pesanti tensioni sui prezzi.

L’impatto dell’aumento dei prezzi sulla ripresa della siderurgia

L’industria dell’acciaio italiana sta oggettivamente lavorando bene in questo momento. I livelli produttivi sono tornati ai livelli di aprile 2018 e quindi non si può nascondere una certa soddisfazione. «Permangono però due vincoli – ci spiega Bregant – il primo riguarda la nostra capacità produttiva, che è quella e che non può contare sull’avvio di nuovi forni. Quello che abbiamo a disposizione lo stiamo già usando al massimo delle possibilità. Il secondo tema riguarda Taranto, che produce una quantità molto limitata rispetto a quanto potrebbe fare. Riuscire a risolvere il problema di quell’acciaieria sarebbe un enorme sollievo per tutta la nostra industria». Un altro grande problema riguarda il fatto che la filiera si compone di una lunga serie di attori che spesso lavorano con contratti fissi e che quindi non possono trasferire a valle l’incremento dei prezzi, di fatto erodendo i margini.

La geopolitica dell’acciaio

Quello che però deve essere salutato con grande entusiasmo è l’avvio di un dialogo – si spera fruttuoso – tra Europa e Stati Uniti per ammorbidire il meccanismo di sanzioni che ancora sono in vigore. Ma il Vecchio Continente, nel frattempo, può intervenire sul mercato? «L’Europa non ragiona per dazi – chiosa Bregant – e noi non siamo favorevoli a questo tipo di atteggiamento. La nostra filosofia culturale storicamente vuole un mercato, come si suol dire, “fair and free”, e quindi occorre ragionare in modo diverso. Però alcune restrizioni potrebbero e dovrebbero essere sicuramente inserite. Ad esempio: il rottame generato in Europa proviene da acciaio prevalentemente del nostro continente, realizzato quindi in ossequio a prescrizioni ambientali precise e stringenti. Se lo mandiamo in paesi che non hanno le nostre stesse prerogative e che poi ci fanno concorrenza con dumping ambientale, allora questo diventa un autentico controsenso. Su questo tema urge una profonda riflessione: davvero vogliamo vendere i nostri rottami a paesi che lavorano con una diversa sensibilità ambientale rispetto a noi?».

Infine, rimane da analizzare l’annoso tema dei dazi doganali introdotti durante la “guerra commerciale” tra Usa ed Europa e tra Usa e Cina. Un meccanismo protezionistico che ha soltanto creato ulteriori tensioni. E questo ancora prima che si venisse a sapere dell’esistenza del Coronavirus. Con la salita alla Casa Bianca di Joe Biden in molti hanno sperato che questo circolo vizioso potesse essere spezzato ma, al momento, questo non è ancora successo. Anche se va registrato qualche importante passo avanti.

«L’Europa e gli Stati Uniti – ci spiega Bregant – si sono messi a dialogare. Una prima buona notizia è arrivata dal fatto che il nostro continente aveva la possibilità di incrementare i dazi tra il 25 e il 50% ma ha deciso di non farlo. E ha dunque aperto a una nuova stagione di maggiore disponibilità verso gli Stati Uniti. Al momento però Biden non ha espresso la benché minima intenzione di togliere l’imposta del 25% per ogni kg di acciaio che entra negli Usa. Permane quindi questa distorsione e l’Europa deve comunque difendersi. Ma il fatto che sia stata avviata una qualche forma di discussione mi fa pensare che ci si sta avviando verso una stagione di progressivo disgelo».

2. ASSOFOND

L’impatto sull’attività degli associati

Al momento le difficoltà legate a costi e reperibilità delle materie prime è la principale incognita che grava sui prossimi mesi. La ripresa c’è e le aziende stanno lavorando bene. Due terzi e più delle fonderie italiane stanno marciando a ritmi superiori a quelli pre-Covid, e la stima è di poter recuperare il fatturato perduto nel 2020 già a fine 2021. «Ma un conto è il fatturato, un conto sono i margini – chiosa Ariotti -. I numeri, del resto, dicono tutto: la quotazione della ghisa da affinazione è passata da una media di 319 euro la tonnellata, rilevata a settembre 2020, ai 521 euro di maggio 2021 (+63%). Per quanto riguarda il rottame, il lamierino in pacchi è passato dai 303 euro/tonnellata di inizio settembre, agli oltre 438 euro di maggio (+45%). Anche il prezzo cash medio mensile dell’alluminio primario quotato al LME, dai minimi della primavera 2020 in un anno è aumentato del 60% (da circa 1.450 dollari/tonnellata a oltre 2.300 dollari/tonnellata). L’alluminio secondario ha avuto una dinamica ancora più esplosiva, sfiorando il 90% di incremento in un anno».

Naturale pensare che rincari così pesanti stanno creando enormi problemi al settore. E le aziende pensano, come prima difesa, a correggere i prezzi di vendita. Ma è un circolo vizioso che non può funzionare. Le fonderie sono spesso pmi, che occupano una posizione strategica nella catena del valore ma che hanno clienti di dimensioni enormi come i grandi gruppi dell’automotive, dell’energia, delle macchine utensili. È difficile ribaltare completamente sul prezzo dei getti gli incrementi dei fattori produttivi. Inoltre, oggi abbiamo un altro problema: il materiale scarseggia e i tempi di consegna sono lunghi. Per la ghisa in pani, ad esempio, proseguono le difficoltà del Brasile nel garantire le forniture, legate quasi certamente agli sviluppi della pandemia. A oggi, si ipotizza che i nuovi arrivi dal Sudamerica si potranno avere non prima dell’autunno.

Quali rischi per la ripresa?

È naturale pensare che vi siano delle ricadute sulla ripresa che risulta in qualche modo “azzoppata” a causa dell’incremento delle materie prime. I costi sempre maggiori, del resto, erodono i margini e complicano i piani di crescita e di investimento delle aziende, che magari devono rimandare qualche progetto di sviluppo per coprire i crescenti costi di produzione. «Ma il rischio più grande per la crescita dell’inflazione – aggiunge Ariotti – viene proprio dalla scarsità di materie prime. Abbiamo visto, ad esempio, i problemi che sta affrontando l’industria dell’auto con la carenza di chip. La scarsità di materie prime può arrivare a ridurre la produzione di beni: se si producono meno auto, i prezzi saranno più alti».

Quali interventi mettere in campo:

La situazione economica globale in questo periodo è estremamente fluida. Oltre alla forte ripresa della domanda di Cina e Stati Uniti, elementi che concorrono alla crescita delle materie prime sono i grandi piani economici post-pandemia, la transizione energetica e i problemi legati alla logistica, con il caro dei noli e situazioni imprevedibili, come ad esempio il recente blocco del canale di Suez. A tutto questo si aggiungono le nuove misure economiche cinesi volte a favorire l’import e disincentivare le esportazioni, per dare fiato alla domanda interna. «Dal primo maggio – chiosa Ariotti – è stato azzerato il dazio sull’import di lingotti e billette provenienti da Paesi fuori dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico ed è ora duty free anche l’importazione di ghisa, ferrocromorottame siderurgico. Inoltre, è stato eliminato lo sgravio fiscale di cui beneficiavano le esportazioni di una vasta gamma di prodotti siderurgici. Tutto questo per favorire la domanda interna. Noi ci troviamo in una posizione difficile. Si potrebbe forse pensare a misure per limitare l’export di rottame europeo, ma con le quotazioni attuali il materiale va dove ci sono acquirenti disposti a pagarlo, e la ripresa di Cina e Usa, in questo momento, mette gli operatori di quei Paesi in una posizione di forza».

Le richieste alle istituzioni

Un punto su cui Assofond chiede maggiore impegno da parte delle istituzioni è quello del mercato del lavoro: quasi tutte le imprese stanno cercando personale, poiché si tratta di un settore in cui il turnover è bassissimo, che offre lavoro stabile e opportunità di crescita professionale. Va incentivata la formazione professionalizzante e, più in generale, andrebbe riformata l’intera struttura del mercato del lavoro, eliminando la vergognosa dicotomia fra lavoratori iperprotetti e altri senza alcuna sicurezza. Serve incrementare l’efficienza delle politiche attive, favorendo la formazione e la riqualificazione di coloro che devono cambiare lavoro o che sono alla ricerca di una prima occupazione, e incentivando l’assunzione di giovani e di donne da parte delle imprese.

«Il governo ha messo a punto un piano di ripresa strutturato che mi auguro possa in tempi relativamente brevi far vedere i suoi effetti – aggiunge Ariotti -. Ora servono stimoli agli investimenti, in un momento in cui, come dicevo prima, i costi delle materie prime e la crisi della liquidità potrebbero portare molte imprese a rimandarli». L’ipotesi della cessione del credito d’imposta per gli incentivi di Transizione 4.0 poteva essere uno strumento importante: spero che ci possano essere margini per tornare sulla decisione di non prevederlo. Un altro tema chiave è la transizione verso l’economia circolare, che è cruciale proprio in un momento in cui le materie prime scarseggiano, e ancor di più in un Paese povero di risorse come il nostro. Le fonderie sono da sempre un modello avanzato di economia circolare: non solo riutilizzano rottame proveniente dalla demolizione di prodotti metallici giunti a fine vita, ma riciclano internamente anche quasi tutti gli scarti di produzione.

«Molto spesso, però, non riusciamo ad arrivare al 100% – conclude Ariotti – a causa di lacune in materia di end of waste ancora presenti nella legislazione italiana. Pensiamo alle terre esauste. Anche se riusciamo a riutilizzarne la maggior parte in sostituzione di sabbie e terre provenienti da attività estrattive, una quota parte non può essere reimpiegata nel processo, o perché in eccesso o perché, dopo un certo numero di cicli, non possiede più le caratteristiche fisiche necessarie a essere riutilizzata. L’assenza di una legislazione chiara in merito impone che questi residui di fonderia siano classificati come rifiuti e non come sottoprodotti, pertanto il loro riutilizzo, seppure tecnicamente realizzabile, è appesantito sia da vincoli burocratici, legati alla concessione delle autorizzazioni e alla gestione dei rifiuti (fideiussionicontrolliregistrazioni, ecc.) sia “culturali”, dovuti alla diffidenza legata alla gestione di un rifiuto e non di una merce e alla paura di possibili ripercussioni giudiziarie dovute a una non omogenea esecuzione dei controlli ed applicazione della legge. Il danno, in questo caso, è duplice: per le fonderie italiane, che devono affrontare ingenti costi per lo smaltimento perdendo competitività sul mercato globale, e per altri settori che potrebbero facilmente riutilizzare le nostre terre come materia prima secondaria a costi contenuti, in particolare nell’ambito della ceramica, dei laterizi e del vetro, in accordo con il modello della simbiosi industriale».

 
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Walter Tosto “Ricomincio da 60”

Walter Tosto, presidente dell’omonima ditta e della nostra WTS GAS, è sempre stato dotato della straordinaria capacità di guardare al futuro con tenacia e lungimiranza. Nonostante abbia varcato la soglia degli ottant’anni, continua a rimanere in prima linea per controllare l’operatività della sua creazione: la sua azienda.

In questo libro si racconta e racconta tutte le vicissitudini che sono accadute in questo pezzo di storia dell’imprenditoria italiana. Parla di come, anche quando la fortuna aveva girato le spalle, non si è mai arreso e non ha mai ceduto alla paura di doversi arrendere.Quando tutto il lavoro fatto sembrava essere andato in fumo, è ripartito cavalcando l’onda della globalizzazione e puntando sui mercati esteri, scelta che con il tempo si è rivelata vincente.

Tutti questi sacrifici lo hanno reso più solido e hanno plasmato l’uomo che poi è diventato.Il suo carattere battagliero e intraprendente, lo ha portato a proporsi come esempio da seguire per la nuova generazione; la stessa che oggi continua a guidare l’azienda, eccellenza mondiale del settore di appartenenza.Per leggere di una delle storie imprenditoriali che ha segnato il tessuto economico italiano, leggi: “Ricomincio da 60”, acquistabile su Amazon 

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“Amico GPL”, il serbatoio di GPL firmato WTS Gas

Nel 1994, in uno scenario italiano arretrato e compiaciuto del proprio immobilismo, la Walter Tosto si fa portatrice di innovazione: da qui nasce il serbatoio interrato “Amico Gpl”. L’innovazione, dimostratasi vincente, fu quella di creare un involucro da inserire intorno al serbatoio. Questa aggiunta fornì la possibilità di interrarlo, effettuando uno scavo di dimensioni ridotte, assicurando altresì che eventuali dispersioni venissero contenute nella doppia parete, saturata la quale, il gas può fuoriuscire in atmosfera attraverso i presidi di sicurezza preposti.

COM’È NATO IL SERBATOIO “AMICO GPL”?

“Nel 1984 in Italia si potevano installare solo serbatoi di Gpl all’aperto. Si chiamavano in gergo “maialini” perché da lontano ricordavano le fattezze del simpatico animale. Erano serbatoi dal corpo tondeggiante e quattro gambe di ferro montate sotto la pancia per sostenerlo. Non era certo un bel vedere per i proprietari delle abitazioni che dovevano utilizzarli per riscaldarsi e cucinare. D’altra parte i pochi che volevano provare a nascondere sotto terra il serbatoio dovevano avere a disposizione un ampio spazio, oltre a poter contare su buone risorse economiche. Dovevano infatti realizzare un profondo scavo, costruire una “camera di cemento di armato” e piazzare il serbatoio al suo interno. Logico quindi che in pochissimi optassero per questa scelta, anche per l’invasività della soluzione. Sta di fatto che, insieme al citato ingegner Giovanni Poillucci (oggi scomparso) pensammo a una soluzione innovativa: quella di mettere “un guscio” al serbatoio. Risultato? La nascita di “Amico Gpl”, l’unico composto da un serbatoio metallico contenuto a sua volta in un involucro (guscio) realizzato in polietilene autoportante. Questo serbatoio può essere ispezionato facilmente con una sonda endoscopica per verificarne le condizioni, mentre il guscio evita che il Gpl, in caso di perdite, si possa diffondere nel terreno. L’idea venne brevettata e il successo fu immediato: l’anno era il 1994 e la Walter Tosto si propose come l’unica a realizzare un prodotto simile, venduto peraltro in tutta Italia. I clienti? Quasi esclusivamente le società che commercializzavano il Gpl. Le quali lo concedevano in comodato d’uso all’utente, previa fornitura del gas. Ma in molti pensavano a una scorciatoia, nel senso che spendendo meno per la realizzazione del serbatoio si guadagnava di più. Fortuna volle che il nostro prodotto interrato lo volessero tutti. E per averlo dovevano rivolgersi a noi riconoscendo, in tal modo, il successo di un imprenditore venuto dalla provincia che era riuscito a imporsi sul mercato in maniera dirompente. All’epoca il re delle bombole e dei serbatoi per Gpl era, come accennato, la società Antonio Merloni (che faceva parte dell’omonima grande famiglia di Fabriano, in provincia di Ancona), ma la Walter Tosto di Chieti aveva rotto i loro equilibri di mercato, creando qualcosa di nuovo e inaspettato. Insomma, un prodotto da copertina.

LE STRATEGIE DEI CONCORRENTI DI FRONTE AL SUCCESSO DEL NOSTRO SERBATOIO DI GPL

La reazione dei concorrenti al nostro successo non si fece attendere e così nel novembre del 1994 la Merloni Spa si mise a produrre e vendere un serbatoio denominato “Il Tubero” per lo stoccaggio del Gpl sotto pressione del tutto identico a quello realizzato, prodotto e venduto da noi. A quel punto ci rivolgemmo alla Giustizia ordinaria e ottenemmo, lo ricordo ancora, il sequestro dei loro serbatoi. Pensavo, in questo modo, di aver risolto il problema, visto che anche il Tribunale aveva accertato l’esistenza di una contraffazione e il diritto esclusivo della Walter Tosto a commercializzare il serbatoio “Amico Gpl” che, nel frattempo, era diventato diffusissimo in Italia. E questo successo commerciale mi consentiva di continuare a investire nell’innovazione aziendale. All’epoca avevamo, in pratica, due stabilimenti che producevano il serbatoio Amico in diverse capacità e il totale degli addetti era arrivato a quota 300. Un successo che mi inorgogliva. Purtroppo non immaginavo nemmeno lontanamente quello che stavano tramando ai miei danni. Sta di fatto che mentre eravamo concentrati nello sviluppo del serbatoio Amico – migliorandolo in tutte le sue caratteristiche – nelle “stanze romane” si stava preparando la … rivoluzione. Abbiamo detto: il nostro serbatoio era l’unico che poteva essere installato sottoterra in forza di un provvedimento di equivalenza rilasciato dai competenti organi dello Stato. Ma l’Ispesl – attenzionato sul problema da coloro che non accettavano di acquistare dalla Walter Tosto – aveva deciso di avviare una “sperimentazione”.”

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Il serbatoio ricondizionato deve rispettare le regole del marchio CE

Prima di leggere questo articolo, assicurati di aver letto il precedente. Una volta lanciato sul mercato, il serbatoio “Amico Gpl” si rivelò un vero e proprio successo e come tutti i successi, fu seguito da tentativi di imitazione. Da lì a poco fu dato inizio a una sperimentazione da parte dell’Ispesl. Leggiamo alcuni passaggi sul tema, tratti dal libro Ricomincio da 60.

IL RUOLO DELL’ISPESL NELLA SPERIMENTAZIONE E RICONDIZIONAMENTO

“In Italia venne così avviata una “sperimentazione” che consisteva nell’autorizzare l’installazione di una nuova tipologia di serbatoio che, in deroga alle regole esistenti, potesse essere interrato senza il presidio di sicurezza della camera in cemento armato e senza il contenitore in polietilene autoportante (quello appunto inventato dalla Walter Tosto). Non solo: venne infatti autorizzata anche la possibilità di riutilizzare serbatoi già usati attraverso la procedura di ricondizionamento. In questo modo in Italia si era arrivati a un punto critico. Per far capire quanto grave fosse la situazione voglio descrivere, sia pure in modo sintetico, i termini del problema. Nel nostro Paese vengono distribuite (e consumate) circa 1.683.000 tonnellate di Gpl all’anno (dati 2017 dell’Assogasliquidi, l’associazione confindustriale che raccoglie gran parte delle società di distribuzione di Gpl). Queste società concedono all’utente il serbatoio in comodato gratuito e in tal modo si garantiscono che il cliente – almeno per due anni – si rifornisca in via esclusiva dalla società proprietaria del serbatoio. Sta di fatto che le aziende distributrici di Gpl installano, da più di 15 anni, serbatoi ricondizionati: e attualmente ne risultano installati circa un milione. Si tratta di serbatoi originariamente progettati e realizzati per l’impiego “a vista” o “fuori terra” e che, a causa di successivi interventi di modifica, sono stati riadattati per l’utilizzo interrato. Le società, in tal modo, utilizzano e installano presso gli utenti finali serbatoi costruiti da oltre trent’anni mediante banali operazioni. Queste operazioni vengono purtroppo eseguite senza applicare le norme e/o le regole tecniche vigenti in Italia e in Europa. Quindi i relativi prodotti non possono avere la certificazione comunitaria. Sul serbatoio (così ricondizionato) rimane infatti la targhetta dell’originario costruttore sebbene il manufatto sia stato modificato. Il tutto senza alcuna nuova analisi del rischio che costituisce elemento imprescindibile per la sicurezza (la Direzione generale imprese dell’Unione europea ha chiarito che solo lo stretto rispetto delle norme comunitarie garantisce il serbatoio dal rischio di esplosione).

IL RICONDIZIONAMENTO DEI SERBATOI RISPETTA LE NORMATIVE CE?

Vale la pena ripeterlo, ma a seguito del ricondizionamento il manufatto conserva tutte le originarie caratteristiche costruttive sebbene siano state radicalmente mutate la destinazione e la modalità di utilizzo. Fatto ancor più grave e preoccupante è che l’utente finale – quello che acquista il Gpl – non viene informato sulle caratteristiche del serbatoio che viene installato presso la sua proprietà. Tengo a ribadirlo e non mi stancherò mai di farlo: l’attività di ricondizionamento, quando viene così eseguita, non consente l’apposizione della certificazione CE. E tale gravissima carenza, lungi dal costituire una mera mancanza di carattere formale, appare sintomatica, oltre che di un inadempimento agli obblighi procedurali introdotti dalla normativa nazionale e comunitaria, di un problema di sicurezza sostanziale, in quanto solo l’applicazione congiunta di tutte le previsioni normative riferite a un prodotto consente di valutare in maniera esaustiva la conformità del medesimo ai requisiti di sicurezza richiesti. Quello che ho raccontato (forse con un po’ troppo tecnicismo) è il frutto di un vizio originario che sorge con l’avvento della “sperimentazione”. E adesso cerco di spiegare com’era andata. Siccome all’epoca (era il 1997) non potevano essere autorizzate tipologie di serbatoi come quelle appena descritte (parliamo dei serbatoi con rivestimento in resine epossidiche e con protezione catodica nonché dei serbatoi ricondizionati che usano questa tipologia di supporti) una serie di ministeri – su evidente sollecitazione dell’Ispesl – avviò l’ormai nota “sperimentazione”. Si disse, visto che non c’erano evidenze tecniche: “iniziamo a sperimentare per consentirne la commercializzazione e poi vedremo”.”
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Il processo ai serbatoi ricondizionati di GPL

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Prima di leggere questo articolo, assicurati di aver letto i precedenti.

Il serbatoio ricondizionato deve rispettare le regole del marchio CE

“Amico GPL” , il serbatoio di Gpl firmato WTS GAS

Poiché nessuno pareva rendersi conto del fatto che i serbatoi Gpl ricondizionati non rispettassero le normative CE, Walter Tosto segnalò la situazione alle autorità. Questo portò sia ad un processo penale a carico delle società distributrici di Gpl che a una messa in mora per lo Stato italiano da parte della Commissione Europea per averne violato la disciplina comunitaria. Leggiamo alcuni passaggi sul tema, tratti dal libro Ricomincio da 60.

LA SEGNALAZIONE E L’INIZIO DEL PROCESSO

Tornando al dunque: dal momento che la situazione non si sbloccava, mi presi la responsabilità di segnalare quanto stava accadendo all’Autorità giudiziaria (penale, perché volevo evitare che in caso di incidenti si potesse attribuire una qualche responsabilità al costruttore che aveva ideato e realizzato il manufatto invece di rivolgersi a chi – in modo frettoloso – lo aveva modificato) e all’Unione europea (perché volevo che fosse l’Organo che aveva pensato la Ped, cioè l’Europa, ad affermare che questa norma non si doveva applicare nel caso di serbatoi ricondizionati). Con mia somma sorpresa accaddero due significativi eventi: l’avvio di un procedimento penale a carico di una serie di società distributrici di Gpl per violazione delle norme sulla immissione in commercio dei prodotti, e il contemporaneo invio ad opera della Commissione europea di una messa in mora allo Stato italiano per violazione della disciplina europea in materia di serbatoi per GPL. Questo è il documento:

Ma andiamo per ordine. Come già detto la nostra società si era assunta la responsabilità di denunciare all’Autorità giudiziaria penale  (dopo avere per anni tentato invano di sensibilizzare il settore e gli  organi preposti al controllo) la gravissima situazione sopra menzionata. All’esito della denuncia, la Procura della Repubblica presso il  Tribunale di Chieti aveva chiesto il rinvio a giudizio dei legali rappresentanti di alcune società distributrici di Gpl contestando il reato  di cui all’articolo 515 del codice penale (Frode in commercio) nonché dell’articolo 517 (Vendita di prodotti industriali con segni men daci). Venne inoltre contestata alle società la violazione dell’art. 25  del D.Lgs. 231/2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa  delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive  di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300). Queste contestazioni furono formulate su ordine del Giudice delle  Indagini preliminari, il quale dispose l’imputazione coatta in ragione  delle conclusioni cristallizzate in una perizia tecnica all’esito di un incidente probatorio. L’ipotesi di accusa contestava la violazione del Decreto legislativo  93/2000 e del Decreto ministeriale n. 329 del 1.12.2004, precisando che  il ricondizionamento dei serbatoi sarebbe avvenuto nell’inosservanza  delle suddette norme e che i manufatti trasformati risultano privi del  marchio CE. Inoltre, alcuni dei serbatoi ricondizionati oggetto d’indagine risul tavano proprio costruiti dalla nostra azienda e risultavano modificati  senza nessun tipo di indicazione sul soggetto che li aveva ricondizionati. Anzi, l’Autorità giudiziaria, attraverso la perizia (eseguita su otto  serbatoi), aveva verificato che la prassi adottata in Italia sul ricondizionamento risultava applicata perlomeno dall’anno 2005. Su questa base probatoria era stato avviato il procedimento penale  che è tuttora in corso. La vicenda ebbe anche un certo rilievo sulla stampa, come conferma  il seguente articolo a firma di Gianluca Lettieri pubblicato il 7 novembre 2018:

Serbatoi Gpl fuorilegge, in 4 a processo 

Sotto accusa i bomboloni ricondizionati e interrati, la procura contesta il reato di frode: impianti senza marchi, utenti ingannati

Arriva a processo un’inchiesta della procura di Chieti sui serbatoi di Gpl interrati e ricondizionati senza rispettare la legge. Un’indagine che è destinata  a diventare un caso nazionale: sono 900mila i serbatoi potenzialmente irregolari secondo i calcoli dell’Aipe, l’associazione delle imprese di caldareria.  Il sostituto procuratore  Giancarlo Ciani  ha citato a giudizio quattro grossi  distributori di gas gpl e le rispettive società (queste ultime per responsabilità  amministrative) (…). L’accusa è di presunta frode in commercio: la prima  udienza è stata fissata al 3 dicembre.

Il problema nasce dal fatto che l’utente finale, quando dispone di un serbatoio esterno, ha spesso interesse a riconvertirlo per interrarlo. E questo passaggio andrebbe fatto seguendo precise norme europee che,  nei 6 casi contestati alle società finite sott’accusa, non sarebbero state però rispettate. A far scattare l’inchiesta in cui i costruttori di serbatoi risultano parti offese è stato uno dei giganti del settore, la Walter  Tosto di Chieti Scalo. I serbatoi ricondizionati, infatti, vengono dati agli  utenti in comodato d’uso dalle ditte di distribuzione del gas, ma rimangono di proprietà della casa costruttrice. La stessa Wts ne ha messi tantissimi sul mercato e, di conseguenza, non vorrebbe vedersi addebitare ipotetiche future colpe causate da impianti pensati per uso  esterno e, successivamente, ricondizionati da altri per essere interrati. L’imputazione è la stessa per tutte le società (…). Gli impianti in questione risultano dunque privi del marchio della Comunità europea (CE). In sostanza,  si legge sul capo d’imputazione, «all’utente finale non veniva fornita alcuna informazione sulla modalità di ricondizionamento dei serbatoi installati  presso la sua proprietà inducendolo così a ritenere che fossero conformi ai requisiti di legge, così come dichiarato dalla società distributrice». Nel corso dell’inchiesta, che ha portato al sequestro dei serbatoi ritenuti irregolari e installati tra Francavilla, Bucchianico, Orsogna, Pollutri e Archi, il  perito del giudice ha affermato che gli impianti esaminati «erano in pessime  condizioni: presentavano isolamento realizzato con materiale non idoneo;  limiti significativi nei sistemi di sicurezza e protezione». E in uno dei casi analizzati il marchio CE era addirittura falso.

 

A quel punto cosa successe? Con l’incidente probatorio eseguito  nell’ambito del processo penale vennero rimossi dalla sede interrata i “serbatoi ricondizionati” e l’esame visivo di tali manufatti (tutti esaminati dal perito) rilevò la gravità delle criticità relative alle  modalità di installazione e di controllo, ai presidi di sicurezza degli  stessi e alle procedure di certificazione CE. Il tutto come meglio descritto e cristallizzato nella consulenza formatasi nel contraddittorio delle parti. Una delle cose più rilevanti evidenziate nell’ambito della perizia si  identificava nel fatto che le modalità di ricondizionamento dei serbatoi  erano state eseguite in totale difformità rispetto agli standard costruttivi europei previsti e disciplinati dalla direttiva Ped recepita in Italia  dal decreto legislativo 93/2000.

Questa relazione aveva e ha posto in evidenza le gravissime difformità accertate sui “serbatoi ricondizionati” oggetto della perizia:  che cioè si trattava di manufatti costruiti tra il 1987 e il 1997; che  nessuno dei serbatoi esaminati risultava aver rispettato le regole di  installazione e al perito non erano stati forniti i documenti richiesti  quali libretto d’uso e manutenzione; che nessuna documentazione inerente la manutenzione era stata effettuata sul serbatoio, così  come nessuna certificazione appariva sulla valvola di taratura. Inoltre, le protezioni con anodi sacrificali risultavano per la gran parte  inutilizzabili e in alcuni casi esse non erano state installate, il rivestimento in vernice epossidica risultava spesso gravemente danneggiato e in alcuni casi addirittura mancante, mentre la documentazione fotografica attestava le più che approssimative condizioni di  installazione del serbatoio e lo stato di degrado dello stesso (si consideri che uno dei serbatoi ricondizionati risultava protetto con un  anodo sacrificale custodito in un fondo di vaso di coccio e lo stesso  anodo risultava chiuso con un “tappo di bottiglia per spumante”). E  ancora: la gran parte dei serbatoi era stata installata presso l’utente  finale senza la fornitura del libretto di uso e manutenzione. Infine,  in molti casi, i serbatoi ricondizionati risultavano privi dei certificati  di prevenzione incendi. Questi dati che ho voluto riassumere costituiscono, pur nella loro  sinteticità, un quadro preoccupante e dimostrano che la tipologia dei  “serbatoi ricondizionati” è stata utilizzata per superare coscientemente  i parametri costruttivi previsti dalla legge italiana che ha recepito (lo  ripeto) la disciplina europea. In un altro caso, fra quelli oggetto del procedimento penale, era stato accertato che sul serbatoio risultava apposta addirittura una falsa  etichettatura CE. Ma non è tutto.

LA LETTERA DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Alla vicenda penale tuttora in corso  ha fatto seguito la presa di posizione della Commissione europea –  Direzione Generale Enteprise – che ha dato corso alle notizie comunicate dall’azienda e con la nota del 15 marzo 2018 (GROW/C3/PT/alm  1477960) la Dg Enterprise ha precisato che tutti i prodotti a pressione (compresi i serbatoi ricondizionati) devono rispettare la Direttiva  97/23/CE e la Direttiva 2014/68/UE per poter essere immessi sul mercato ed essere installati. Anzi, la Commissione europea ha fatto di più: ha scritto la nota del  marzo 2018 nella quale indica chiaramente che “i serbatoi ricondizionati di Gpl per essere legalmente immessi sul mercato e messi in esercizio devono essere verificati in accordo con le previsioni delle Direttive 97/23/CE o 2014/68/EU” affinché siano garantiti i requisiti di sicurezza volti ad  “assicurare che i pericoli dovuti alla pressione siano sufficientemente coperti (id. est. rischio di esplosione)”. L’integrale contenuto della nota che ritrascrivo aiuta a comprendere  l’importanza della posizione assunta dalla competente Direzione generale della Commissione europea:

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L’esito del procedimento penale

18 Dicembre 2020

L’esito del procedimento penale

Prima di leggere questo articolo, assicurati di aver letto i precedenti.

Il processo ai serbatoi ricondizionati di GPL

Il serbatoio ricondizionato deve rispettare le regole del marchio CE

“Amico GPL” , il serbatoio di Gpl firmato WTS GAS

Lo scorso 31 ottobre si è concluso il procedimento penale con la condanna, per reato di frode, di quattro grandi distributori di gas Gpl e le rispettive società.

L’ORIGINE DEL PROCEDIMENTO PENALE

L’inchiesta è scaturita da una segnalazione operata dalla Walter Tosto, la quale era preoccupata della modifica eseguita su alcuni serbatoi di sua produzione e modificati senza rispettare la disciplina europea. In tal modo l’utente finale si trova ad utilizzare un manufatto completamente modificato ma che porta ancora la targhetta identificativa del costruttore originario che resta ignaro delle modifiche apportate al prodotto. Spesso anche gli utenti non conoscono la natura “ricondizionata” del deposito che viene installato presso di loro.

 

L’ESITO DEL PROCESSO

Il giudice, con la sentenza dello scorso 31 ottobre 2020, ha pronunciato la condanna di tutti gli imputati per i reati contestati.