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Processi produttivi: con il GPL si risparmia fino al 30%

Il caro energia sta mettendo a durissima prova tutte le categorie produttive, in particolare quelle legate alla manifattura. Le aziende che oggi utilizzano il Metano come fonte di energia si ritrovano a pagare circa il 400% in più, rispetto a 2 anni fa. Se aggiungiamo gli effetti della pandemia sul mercato, lo scenario diventa estremamente drammatico per l’economia dei processi produttivi.

La soluzione al caro energia: passare al GPL.

Le aziende che attualmente utilizzano il Metano per i processi produttivi e per il riscaldamento, possono convertire agevolmente la fonte energetica con una molto più economica: il GPL.

Passare da metano a GPL, infatti, significa risparmiare fino al 30%. Un abbattimento dei costi evidente che, oggi più che mai, rappresenta un aiuto fondamentale per la sopravvivenza di moltissime aziende.


Perché il GPL conviene più del Metano?

L’esempio grafico mostra chiaramente come il GPL sia più conveniente rispetto al Metano.

Per avere il potere calorifero di 1 m3 di metano servono 745 gr. di GPL. Quindi a parità di energia il Metano costa 1,50 €, mentre il GPL solo 1,20€. Di seguito, riportiamo la panoramica grafica che evidenzia le differenze tra le due fonti energetiche in questione.

GPL processi produttivi e riscaldamento. Risparmio del 30%

 

GPL: con l’agevolazione fiscale il risparmio raddoppia.

Le aziende che utilizzano il GPL per la combustione possono godere di una defiscalizzazione che permette una riduzione fino al 90% sull’accisa gravante sul GPL stesso.

L’agevolazione fiscale viene autorizzata, previa verifica, dalle Agenzie Doganali alle aziende che hanno una volumetria di stoccaggio di almeno 10m3 e almeno due utenze.

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Caro carburanti - Antitrust - accise

Caro carburanti: denunce all’Antistrust, richiesta chiarimenti e taglio alle accise

caro carburanti antitrust taglio accise

Metano +121% in un anno. L’unione Nazionale Consumatori presenta un esposto all’Antitrust.

L’UNC (Associazione Nazionale Consumatori) ha presentato un esposto all’Antitrust per denunciare possibili speculazioni sul caro carburanti.

I rincari hanno coinvolto il GPL con un +34%, ma è stato il Metano a subire l’aumento di prezzo più pesante con un +121% in un solo anno.

Una situazione che ha cambiato totalmente il panorama dei consumatori: oggi per fare un pieno a un’auto a GPL si spendono 9 euro in più rispetto ad un anno fa, mentre per un pieno di Metano costa oltre 16 euro in più.

Si sospetta che dietro al caro carburanti ci possa essere una vera e propria speculazione.

Sulla base di questo dubbio legittimo l’Unione Nazionale Consumatori ha deciso di presentare un esposto all’Antitrust. Un atto dovuto contro gli inspiegabili rincari di benzina e gasolio. L’UNC ha quindi chiesto che la Guardia di Finanza verifichi eventuali speculazioni lungo la filiera.

 

Ora l’Antitrust chiede informazioni alle compagnie petrolifere.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a seguito dello straordinario aumento dei prezzi della benzina e del gasolio che si è registrato negli ultimi giorni nonché delle numerose denunce ricevute ha notificato, il 18 marzo, precise richieste di informazioni alle maggiori compagnie petrolifere avvalendosi anche della collaborazione della Guardia di Finanza.

L’obiettivo è quello di approfondire le ragioni dei rialzi e valutare intervento su eventuale violazione delle norme su abuso di posizione dominante o intese restrittive della concorrenza.

 

Caro carburanti: arriva il taglio sulle accise.

Il 18 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il decreto che prevede un taglio delle accise di 25 centesimi, fino al 30 aprile, su benzina, oli da gas e gasolio, gas di petrolio liquefatti (GPL) usati come carburante.

Il decreto contiene le misure urgenti per contrastare gli effetti economici ed umanitari della crisi ucraina.

Nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, il premier Mario Draghi ha dichiarato: «Le misure ammontano a 4,4 miliardi di euro che si aggiungono ai 16 miliardi spesi negli ultimi 6 mesi».

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Guerra Ucraina: il Mite dichiara il pre-allarme gas

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Lo stato di pre-allarme, primo dei tre livelli di criticità presenti dal piano di emergenza gas è stato da poco dichiarato dal ministero della Transizione Ecologica.

Il Mite dichiara che al momento le forniture di gas restano regolari e adeguate a soddisfare la domanda, ma che il livello di “pericolosità della minaccia alle forniture” derivata dalla guerra tra Russia e Ucraina obbliga a prendere provvedimenti adeguati.

Dalla nota pubblicata sabato 26 febbraio sul sito Snam, lo stato di pre-allarme è stato comunicato “considerato l’attuale stato di guerra presente tra la Federazione Russa e l’Ucraina e che tale situazione insiste sul territorio attraverso cui passa gran parte delle forniture di gas naturale che approvvigionano il sistema italiano”.

 

Guerra Ucraina: le azioni legate allo stato di pre-allarme gas.

Considerando che “il livello di pericolosità della minaccia alle forniture e sensibilmente maggiore rispetto a quanto previsto nelle analisi di rischio svolte in passato in ottemperanza del Regolamento UE 2017/1938, da cui derivano gli attuali piani di azione preventiva e di emergenza”.

 

Anche se, teoricamente, il livello di pre-allarme gas venga dichiarato solo nel caso di una riduzione effettiva delle forniture il governo ha “ritenuto opportuno predisporre eccezionali misure preventive volte a incentivare un riempimento dello stoccaggio anticipato rispetto alle procedure adottate in condizioni normali, come discusso anche in sede europea durante l’ultima riunione del Gas Coordination Group dl 23 febbraio”.

 

L’obiettivo, dichiara il Mite, è anche “sensibilizzare gli utenti del sistema gas nazionale della situazione di incertezza legata al conflitto citato anche in relazione all’attuazione dell’Atto di indirizzo del Ministero della Transizione Ecologica del 24 febbraio 2022, benché la situazione delle forniture sia al momento adeguata a coprire la domanda interna”.

Lo stato di pre-allarme gas prevede, tra le diverse misure, che gli operatori gas siano tenuti al massimo rispetto delle previsioni di prelievo e immissione.

In questa fase non è previsto l’avviamento delle misure più consistenti, dette “ non di mercato”.

Al momento, vengono affidate agli operatori l’attuazione di azioni di mercato come:

l’aumento delle importazioni, usufruendo della flessibilità dei contratti in essere;

la riduzione della domanda di gas derivante da contratti di natura commerciale che prevedono la possibilità di interruzione;

l’impiego di combustibili di sostituzione alternativi negli impianti industriali, in base a particolari accordi o clausole nei contratti di fornitura.

 

Snam è chiamata a svolgere un monitoraggio costante della situazione, informando tempestivamente l’Autorità competente, mentre Terna è incaricata di comunicare al ministero, con cadenza settimanale, le previsioni di domanda gas per uso termoelettrico.

 

Fonte: Staffetta Quotidiana

Crisi gas

Crisi Gas: disponibilità invariata, prezzi in crescita

Crisi gas prezzi aumento

Le sanzioni introdotte da Unione Europea, Regno Unito, Canada e Stati Uniti iniziano ad avere i primi effetti sull’economia e sulla finanza russa. Al momento non ci sono conseguenze sui flussi di gas Metano verso l’Europa e in particolare in Italia. Gli ultimi dati, di venerdì 25 febbraio e sabato 26 febbraio, indicano un flusso ancora elevato di gas proveniente dalla Russia in Italia pari 60 milioni di metri cubi.

Sono rimasti ai massimi i volumi anche le forniture provenienti dall’Azerbaigian, circa 25 milioni di metri cubi al giorno, che arrivano attraverso il gasdotto trans-adriatico TAP.

Stazionaria, al momento, la situazione dal terminal di rigassificazione di Porto Viro che contribuisce al fabbisogno nazionale, con oltre 27 milioni di metri cubi.

Rimane costante anche l’import di gas Metano dall’Algeria, con circa 65 milioni di metri cubi.

Una prima variazione negativa si è registrata nella giornata di sabato 26 febbraio, nell’esportazione a Passo Gries, alla frontiera svizzera. Segue una drastica diminuzione del flusso di gas Metano dalla Libia verso il rigassificatore OLT Offshore LNG Toscana.

Buone notizie, infine, dalla produzione nazionale di gas che continua al ritmo di 9 milioni di metri cubi al giorno.

 

Crisi Gas: l’impatto sui prezzi.

La situazione di profonda incertezza dei mercati sta portando i prezzi del gas Metano costantemente sopra i 100 euro/MWh. Il TTF (l’indice di borsa del gas naturale che permette il commercio di gas in tutta Europa), dopo il picco di rialzo di giovedì 24 febbraio in cui sono sfiorati i 133 euro, è sceso a 93 euro/MWh, per poi attestarsi sopra i 110 euro/MWh.

 

Rimane molto alto anche il Prezzo Unico Nazionale elettrico: il prezzo medio sul mercato del 1° marzo si attesta a 271,13 euro/MWh, in aumento rispetto ai 247,04 euro dei giorni precedenti, anche se leggermente più basso rispetto ai 284,29 euro di giovedì 24 febbraio, giorno dello scoppio della guerra.

Sempre dal 1° Marzo anche il gas GPL ha visto un rincaro di 125 dollari/tonnellata. Un trend in salita, seppur molto meno drastico rispetto al gas Metano, dettato sempre dalla complessa e drammatica situazione geopolitica.

Alla luce degli ultimi dati disponibili, il Gas GPL sta guadagnando un ruolo essenziale nella questione del fabbisogno energetico rappresentando, di fatto, una delle alternative più funzionali ed economiche al gas Metano. 

 

Fonte: Staffetta Quotidiana

gpl impennata prezzi

GPL – L’impennata dei prezzi

gpl impennata prezzi

Propano e Butano alle stelle nei prezzi internazionali di contratto di ottobre 2021.
La Società Nazionale per la ricerca, la produzione, il trasporto, la trasformazione e la commercializzazione degli idrocarburi (l’algerina SONATRACH) ha rincarato sul propano di 168$ (144.96 Euro) , portandosi a 808$/t (697,18 Euro/t) e sul butano di 72 $ (62,13  Euro) a 742 $/t (640,23 Euro/t). La corsa dei prezzi, partita a giugno, ha portato le quotazioni del propano ai livelli di febbraio 2014 e del butano agosto/settembre dello stesso anno.

Fonte: La Staffetta Quotidiana
salvaguardia ambiente

Cosa possiamo fare per salvaguardare l’ambiente?

Piccole abitudini producono notevoli cambiamenti

Di recente i temi ambientali sono tornati al centro del dibattito politico, istituzionale e culturale.
Attivisti, come Greta Thunberg, hanno generato una sensibilizzazione mondiale rispetto a temi riguardanti la salvaguardia dell’ambiente.
Rispettare il pianeta non è solo una questione dei governi ma riguarda anche noi, ‘gente comune’.
E in che modo possiamo farlo?

Prima di tutto cambiando le nostre abitudini, facendo scelte ecosostenibili. Bastano davvero piccoli accorgimenti per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e migliorare la propria vita!

  1. Ridurre il consumo di energia elettrica: scollega le prese quando è possibile!
  2. Non sprecare l’acqua: prediligi la doccia anziché il bagno. Inoltre installando rompigetti sui rubinetti, puoi ottimizzare il flusso senza disperderne il volume. Questo ti consente un risparmio fino al 50%.
  3. Utilizzare buste biodegradabili (o meglio, di stoffa!): Sono ripiegabili, comode e si infilano facilmente in borsa. Le buste di plastica sono altamente inquinanti per l’ambiente e per la vita di moltissimi animali.
  4. Riciclare! è la base di uno stile di vita sostenibile. La raccolta differenziata dà una grossa mano all’ambiente, permette di evitare che gli sprechi vadano persi per sempre e che molti materiali ancora buoni non vengano riutilizzati, ricominciando il proprio ciclo di vita.
  5. Alimentazione: prediligere alimenti di stagione e a km 0: scopri qui quali sono gli alimenti di stagione
  6. Ottimizzare il riscaldamento: qui puoi trovare alcuni nostri “Consigli pratici per ridurre le spese di riscaldamento” https://www.wtsgas.it/info-utili/
    Il GPL, meglio del gasolio: il gas non è soltanto un’energia pulita e sicura, ma si distingue anche per la sua efficienza. L’efficienza di una caldaia a gas oltrepassa il 100% e può generare un risparmio energetico fino al 30% in più rispetto a una normale caldaia. Al risparmio economico si aggiungono emissioni di ossidi di azoto (NOx) notevolmente inferiori in questo tipo di caldaie, motivo per cui si consolidano come un’opzione più sostenibile.
    Grazie alla nuova offerta WTS Gas, passando da Gasolio a GPL puoi avere fino a 700 € di bonus
  7. Utilizzare mezzi pubblici, biciclette, auto elettriche ecc..

Tutto questo e molto altro, ci permette di fare la nostra parte!

Alcuni dati:
Come sappiamo le nostre città sono soggette ad una serie di “pressioni ambientali” (riferite a sei ambiti tematici: acqua, aria, energia, mobilità, rifiuti urbani e rumore) che inevitabilmente richiederebbero non solo interventi continui per ridurne gli effetti ma soprattutto l’elaborazione di efficaci in grado di garantire una migliore vivibilità e qualità della vita.

Citando l’ultimo rapporto dell’Istat proprio sui principali fattori di pressione sull’ambiente nelle nostre città, si evince, in grande sintesi, che i comuni ricadenti nelle aree del Nord sono molto più soggetti a una concentrazione di inquinanti nell’aria mentre al Sud e nelle Isole, tra le pressioni ambientali più significative, c’è il sistema idropotabile soggetto a consistenti perdite nella rete di distribuzione, con un livello di erogazione giornaliera più basso e con frequenti casi di razionamento, a conferma del fatto che si tratta di territori in cui la popolazione è particolarmente vulnerabile a episodi di carenza idrica. In un’indagine condotta nel 2019, si evince come nelle regioni del Mezzogiorno c’è un’arretratezza infrastrutturale del sistema idrico che richiederebbe interventi significativi di manutenzione, verifica e ammodernamento.

Per le città del Nord invece la situazione infrastrutturale è generalmente migliore, tanto da non richiedere il razionamento dell’acqua.

Le misure necessarie a far fronte alla salvaguardia dell’ambiente sono molte:
anche noi di WTS GAS abbiamo a cuore la salute del nostro pianeta e offriamo serbatoi interrati “AMICO dell’uomo e della natura

La WTS GAS, è l’unica azienda che utilizza ed offre alla Clientela esclusivamente serbatoi interrati nuovi di fabbrica, in doppia parete e corredati di Certificazione CE.

 

Il serbatoio AMICO GPL è un prodotto green  che tutela l’ambiente perché è stato inspirato dalla natura:  
si tratta di un manufatto in acciaio posto all’interno di un guscio in polietilene autoportante che assicura l’Utente e gli operatori nel caso di accidentali e pericolose perdite di gas del contenitore in metallo.

La presenza del “guscio” in polietilene consente l’immediata captazione dell’eventuale perdita, il suo contenimento nell’ambito dell’intercapedine che isola, separa e tutela il sottosuolo circostante e le eventuali falde da possibili contaminazioni. In questo modo  la doppia parete confina l’eventuale espulsione del gas nell’intercapedine sino a saturazione per poi fuoriuscire all’esterno.
La WTSGAS S.p.A. ha operato una scelta radicale nel selezionare, quale unico manufatto, il serbatoio rivestito in polietilene e tale determinazione, sebbene più costosa in termini di investimento, garantisce l’Utente finale il quale molte volte non è a conoscenza dei risvolti tecnici afferenti la tipologia dei serbatoi interrati.

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Perché le bollette si gaseranno. Parla l’authority dell’energia

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Che cosa ha detto il presidente dell’authority di settore Arera, Stefano Besseghini, sull’aumento dei prezzi del gas e delle emissioni di CO2

I “responsabili” dell’aumento delle bollette di luce e gas da luglio – rispettivamente +9,9 e +15,3 per cento – sono il “prezzo del gas sui mercati internazionali” e i “diritti per le emissioni di CO2”, ovvero il mercato europeo per la compravendita di quote di inquinamento. Lo ha spiegato oggi il presidente di Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), Stefano Besseghini, al quotidiano la Repubblica. “Fino a quando i loro valori resteranno ai massimi sarà difficile che ci possa essere una inversione di tendenza”, ha detto Besseghini. “Anche perché sono strettamente connessi alla transizione energetica in atto. Per questo motivo occorrono interventi strutturali a sostegno dei consumatori e delle imprese, sulla scia di quelli già presi dal governo”.

COSA HA FATTO IL GOVERNO

Per tamponare l’aumento del costo delle bollette energetiche per i consumatori, il governo Draghi ha destinato 1,2 miliardi di euro del decreto Lavoro e imprese alla riduzione degli oneri di sistema. Senza questo intervento, il rincaro delle tariffe sarebbe stato maggiore: 280 euro all’anno in più per famiglia, invece che 50, secondo il Corriere della Sera.

COSA SUCCEDE AI PREZZI DELL’ENERGIA IN EUROPA

I prezzi dell’elettricità e del gas stanno crescendo un po’ ovunque nel mondo, dagli Stati Uniti all’Europa all’Asia: c’entra la ripresa dell’economia e quindi della domanda energetica, favorita a sua volta dall’andamento delle campagne di vaccinazione contro il coronavirus e dalla rimozione delle restrizioni. L’impennata dei costi si sta facendo sentire molto in Europa: stando a Bloomberg, i prezzi del gas sono aumentati di quasi il 90 per cento quest’anno. Le cause sono essenzialmente due. Da un lato, lo scorso inverno è stato più freddo del solito: c’è stata una grande domanda di energia per il riscaldamento e ora le scorte sono su livelli bassi. I livelli di inventario di luglio sono infatti ai minimi da oltre un decennio. Dall’altro lato, l’offerta non è sufficiente. La Russia non sta inviando volumi sostanziosi di gas naturale verso l’Europa attraverso l’Ucraina. E i paesi asiatici stanno acquistando (e rimuovendo dal mercato) tanti carichi marittimi di gas naturale liquefatto (GNL), necessari per l’alimentazione dei sistemi di raffrescamento contro il caldo estivo. Il quadro potrebbe venire aggravato dalla chiusura, nei prossimi giorni, di due gasdotti: il Nord Stream 1 tra Russia e Germania chiuderà per dieci giorni per lavori di manutenzione; fuori uso sarà anche la condotta Yamal-Europe (dalla Siberia russa alla Germania), dal 6 al 10 luglio.

BRUCIARE IL CARBONE?

Per garantire forniture di energia elettrica adeguate e a prezzi abbordabili, visti i costi del gas, Bloomberg scrive che l’Europa dovrà bruciare maggiori quantità di carbone: anche l’output degli impianti di fonti rinnovabili, infatti, è basso.

LA RIFORMA DEL MERCATO DELLE EMISSIONI

Non è tutto. Il 14 luglio la Commissione europea dovrebbe presentare la riforma per l’inasprimento delle condizioni del mercato delle emissioni (ETS), in modo da favorire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030. Si tratta di un sistema che permette alle aziende di vendere e acquistare delle quote di emissioni di CO2 che vengono assegnate loro ogni anno. Il tetto massimo delle emissioni concesse alle imprese o alle società energetiche viene progressivamente abbassato per ridurre la possibilità di inquinare, mentre il prezzo delle quote di CO2 si alza, andando a sostenere il passaggio alle fonti di energia pulite. Repubblica scrive che tre anni fa queste quote avevano un prezzo di 5 euro per tonnellata di CO2; nell’ultimo anno però sono arrivate a 25-50 euro a tonnellata, fino a un massimo storico di 56. Questi prezzi, scrive il quotidiano, “vengono poi ribaltati su tutta la filiera e finiscono per esser essere pagati dalle aziende e dalle famiglie. In buona sostanza, imprese e consumatori rischiano di pagare le politiche per il contenimento delle emissioni”.

COSA DICE BESSEGHINI

Il presidente di Arera, Besseghini, ha detto a Repubblica che a breve “la Ue rivedrà i meccanismi delle regole con cui vengono distribuite le quote. Ma è difficile che i prezzi possano calare, perché lo scopo con cui sono nati i diritti è quello di fare efficienza. Per cui le aziende saranno invogliate a farlo solo se i costi di diritti rimarranno alti”. Secondo Besseghini “occore ‘giustezza della transizione’” dai combustibili fossili alle rinnovabili: “non bisogna far pagare a imprese e cittadini lo scotto della transizione”, ha aggiunto. “Già abbiamo abbastanza opposizioni alle rinnovabili, non possiamo anche aggiungere le proteste per il caro bolletta”. Per contenere i rincari delle bollette, il presidente dell’authority propone di utilizzare i fondi che i singoli paesi europei ottengono dalle vendita delle quote di CO2. È quello che ha fatto il governo Draghi nei giorni scorsi.
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Shock prezzi materie prime: previsti cambiamenti sul mercato internazionale PLATTS

Prezzi materie prime alle stelle: che fare, che cosa cambia per l’Industria

di Marco Scotti ♦︎ Quotazioni previste in rialzo ancora per lungo tempo. La supply chain post-Covid si è scoperta vulnerabile. L’incidente del Canale di Suez o l’attacco hacker all’oleodotto americano hanno mostrato come il Coronavirus abbia ridotto ai minimi le scorte. E ora che stiamo ripartendo servirebbe avere a disposizione maggiore profondità di magazzino. La Cina si sta ulteriormente arricchendo, i dazi non sembrano poter sparire in tempi brevi. E l’Europa non sa che pesci pigliare. Ne parliamo con Flavio Bregant (Federacciai) e Roberto Ariotti (assofond).

La pandemia da Coronavirus ci ha resi fragili non soltanto perché ha scardinato le certezze, ma anche e soprattutto perché ha mostrato le contraddizioni dell’economia mondiale. E per farci capire che qualcosa non stesse andando, non è servito tanto il blocco di qualsiasi attività produttiva come avvenuto durante il primo lockdown, ma piuttosto il ritorno alla normalità, scandito da eventi che normalmente sarebbero stati degni di qualche trafiletto e che hanno invece occupato le prime pagine dei giornali per giorni. La nave che ha bloccato il Canale di Suez; l’attacco hacker che ha paralizzato l’oleodotto americano; il maltempo che ha flagellato il mondo occidentale. Tutti eventi tutto sommato “normali” che hanno però mostrato ulteriormente la debolezza strutturale di un’economia che ha – per assurdo – sopravvalutato gli effetti della pandemia e ha invece sottostimato le conseguenze sul lungo periodo. Spieghiamoci meglio.

Durante i primi mesi del Coronavirus, le aziende hanno di fatto azzerato gli ordini e si sono poste in modalità “sopravvivenza”, aspettando che passasse la buriana. Questo ha avuto due effetti immediati: il primo, statistico, che ha fatto registrare il primo tasso negativo del prezzo del petrolio sul Brent. Il secondo, concreto, che ha mostrato come terminata la fase acuta, ci sia stata una grande corsa non soltanto per ricomprare materie prime utili per la produzione, ma c’è stata anche una richiesta aggiuntiva, per ricostituire le scorte. E si è creato il cortocircuito che ha portato all’impennata dei prezzi, per la totale carenza di materie prime disponibili. Attenzione perché non si tratta di un semplice aumento dei costi, ma di un potenziale tsunami che – se non mitigato da azioni governative – potrebbe portare a un’altra crisi sistemica che metterebbe forse definitivamente in ginocchio le economie.

Lo scorso 17 maggio Ferruccio De Bortoli, sulle pagine del Corriere Economia, ha ricordato come ci siamo fatti distrarre dal potere del digitale che sembrava poter risolvere qualsiasi problema. Invece, ha scritto l’ex direttore del Sole 24 Ore, “l’economia è ancora pesantemente fisica. Tutto questo enorme trambusto sui mercati, che ha già causato a valle consistenti aumenti di prezzo in alcune filiere, quando e come si trasferirà sui consumi finali? Una piccola fiammata inflazionistica è già in atto come conferma l’ultimo dato sull’andamento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti (+4,2% su base annua)”.

Che cosa dobbiamo aspettarci, dunque? Industria Italiana l’ha chiesto a Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai e al presidente di Assofond Roberto Ariotti. Abbiamo rivolto la nostra attenzione al grande mondo della siderurgia perché rappresenta quello più importante dal punto di vista strategico in Italia. Attualmente il Belpaese è il tredicesimo player globale, e il secondo europeo, dopo la Germania. La siderurgia dà lavoro a 33.400 persone, inserite in una filiera molto articolata: produzione di acciaio e prima trasformazione, centri servizio, distribuzione, commercio di rottame e ferroleghe, taglio e lavorazione della lamiera, utilizzatori. E ha ricavi per quasi 60 miliardi di euro. Conta, nei diversi segmenti, gruppi con fatturati miliardari, come Duferco, Arvedi di Cremona, Danieli di Buttrio, Feralpi di Lonato del Garda, le Acciaierie Venete di Padova, Ori-Martin di Brescia, FinMar (Marcegaglia) di Mantova, e altri. E da noi sono presenti anche importanti produttori stranieri, come la già menzionata ArcelorMittal, come l’indiana JSW che ha acquisito lo stabilimento Lucchini di Piombino, o come ThyssenKrupp in Acciai Speciali Terni, che rappresenta il 15% del fatturato industriale umbro. E ci siamo rivolti ad Assofond perché ci ha fornito alcuni dati particolarmente allarmanti per quanto concerne l’incremento dei prezzi. È il caso della ghisa, che è passata da una media di 319 euro per tonnellata a settembre 2020 ai 521 di maggio di quest’anno.

 

1. FEDERACCIAI

Una situazione dovuta solo in parte al Covid

Tutte le materie prime – e non solo quelle della siderurgia – sono sotto pressione ormai da tempo. Il prodotto d’acciaio ha la peculiarità di essere fondamentale per tutta la manifattura, ma è anch’esso soggetto a crisi della reperibilità di materie prime in ingresso, ovvero il minerale di ferro e il rottame. A monte di questa tensione, comunque, c’è da segnalare una geodinamica piuttosto complesso, che ha visto il significativo incremento del costo del rottame tra il 2020 e il 2021. Il motivo essenziale dell’incremento dei prezzi, dunque, va sicuramente ricercato nel gap fra domanda e offerta. Si tratta di una situazione che ha iniziato a verificarsi nella primavera 2020, quando i lockdown che la pandemia ha imposto più o meno in tutto il mondo hanno ridotto drasticamente la produzione di materie prime.

«Tutti i paesi – ci spiega Bregant – hanno avuto delle riduzioni di pil, con conseguente calo della produzione di acciaio. Basti pensare che in Italia, tra marzo e aprile del 2020 la produzione era scesa del 40% prima di riuscire a recuperare in modo straordinario e chiudendo sotto di “solo” il 12%. Ma va notato che la produzione a livello mondiale di acciaio è rimasta sostanzialmente costante. La Cina, che rappresenta il 56% della siderurgia mondiale ha incrementato la sua produzione del 7% nonostante sia stato il primo paese a venire colpito. Le industrie manifatturiere che si sono fermate hanno quindi consumato le scorte. A fine anno, con l’inizio della ripresa, la Cina ha continuato a crescere in maniera costante dal punto di vista siderurgico e nel primo trimestre ha fatto +15%. Era un paese esportatore, ma l’incremento dello stimolo interno ha portato a un aumento del 144% dell’import».

Questa dinamica ha sostanzialmente tolto dal mercato una quota significativa dell’acciaio presente. Nel primo trimestre del 2021, d’altro canto, gli Stati Uniti hanno diminuito la produzione siderurgica del 5%, il che significa che anche loro hanno iniziato a importare moltissimo materiale. La Turchia, negli ultimi mesi del 2020, è riuscita a entrare negli Stati Uniti nonostante vi sia una barriera di protezione che prevede il 25% di dazio per tonnellata.

«La seconda ragione dell’incremento dei prezzi – continua Bregant – è tecnica. La produzione di acciaio, infatti, avviene o dal minerale di ferro o dal rottame. La Cina è molto sbilanciata: il 90% della sua produzione arriva nel primo modo, e questo fa aumentare a dismisura il costo di approvvigionamento. Anche l’Europa ha uno sbilanciamento del 70% verso il ciclo integrale. L’Italia, invece, ha l’80% della sua produzione che viene realizzata tramite forno elettrico con rottame. E questo si è riverberato sulla ripresa: nel primo trimestre siamo cresciuti del 19%, contro l’1,7% della Germania. E ad aprile siamo saliti ulteriormente».

Quello che appare evidente, dunque, è che le tensioni sul rottame continueranno anche perché c’è un terzo tema. L’Europa, con il Green New Deal, ha dichiarato di voler procedere con una robusta decarbonizzazione della produzione, puntando su altre forme di energia come l’idrogeno. Ma per portare avanti questa transizione, il modo più immediato per farlo è passare dal ciclo integrale a quello elettrico, facendo aumentare la richiesta di rottame. C’è però un problema: che la Cina ha già messo un dazio del 40% all’esportazione di questa tipologia di materiale siderurgico e lo stesso hanno fatto Russia e Ucraina. L’Europa, invece, esporta il rottame e ogni anno cede 17 milioni di tonnellate. La situazione tornerà a stabilizzarsi solo nel 2022. Secondo gli economisti di Intesa Sanpaolo, infatti, almeno tutto il 2021 sarà soggetto a pesanti tensioni sui prezzi.

L’impatto dell’aumento dei prezzi sulla ripresa della siderurgia

L’industria dell’acciaio italiana sta oggettivamente lavorando bene in questo momento. I livelli produttivi sono tornati ai livelli di aprile 2018 e quindi non si può nascondere una certa soddisfazione. «Permangono però due vincoli – ci spiega Bregant – il primo riguarda la nostra capacità produttiva, che è quella e che non può contare sull’avvio di nuovi forni. Quello che abbiamo a disposizione lo stiamo già usando al massimo delle possibilità. Il secondo tema riguarda Taranto, che produce una quantità molto limitata rispetto a quanto potrebbe fare. Riuscire a risolvere il problema di quell’acciaieria sarebbe un enorme sollievo per tutta la nostra industria». Un altro grande problema riguarda il fatto che la filiera si compone di una lunga serie di attori che spesso lavorano con contratti fissi e che quindi non possono trasferire a valle l’incremento dei prezzi, di fatto erodendo i margini.

La geopolitica dell’acciaio

Quello che però deve essere salutato con grande entusiasmo è l’avvio di un dialogo – si spera fruttuoso – tra Europa e Stati Uniti per ammorbidire il meccanismo di sanzioni che ancora sono in vigore. Ma il Vecchio Continente, nel frattempo, può intervenire sul mercato? «L’Europa non ragiona per dazi – chiosa Bregant – e noi non siamo favorevoli a questo tipo di atteggiamento. La nostra filosofia culturale storicamente vuole un mercato, come si suol dire, “fair and free”, e quindi occorre ragionare in modo diverso. Però alcune restrizioni potrebbero e dovrebbero essere sicuramente inserite. Ad esempio: il rottame generato in Europa proviene da acciaio prevalentemente del nostro continente, realizzato quindi in ossequio a prescrizioni ambientali precise e stringenti. Se lo mandiamo in paesi che non hanno le nostre stesse prerogative e che poi ci fanno concorrenza con dumping ambientale, allora questo diventa un autentico controsenso. Su questo tema urge una profonda riflessione: davvero vogliamo vendere i nostri rottami a paesi che lavorano con una diversa sensibilità ambientale rispetto a noi?».

Infine, rimane da analizzare l’annoso tema dei dazi doganali introdotti durante la “guerra commerciale” tra Usa ed Europa e tra Usa e Cina. Un meccanismo protezionistico che ha soltanto creato ulteriori tensioni. E questo ancora prima che si venisse a sapere dell’esistenza del Coronavirus. Con la salita alla Casa Bianca di Joe Biden in molti hanno sperato che questo circolo vizioso potesse essere spezzato ma, al momento, questo non è ancora successo. Anche se va registrato qualche importante passo avanti.

«L’Europa e gli Stati Uniti – ci spiega Bregant – si sono messi a dialogare. Una prima buona notizia è arrivata dal fatto che il nostro continente aveva la possibilità di incrementare i dazi tra il 25 e il 50% ma ha deciso di non farlo. E ha dunque aperto a una nuova stagione di maggiore disponibilità verso gli Stati Uniti. Al momento però Biden non ha espresso la benché minima intenzione di togliere l’imposta del 25% per ogni kg di acciaio che entra negli Usa. Permane quindi questa distorsione e l’Europa deve comunque difendersi. Ma il fatto che sia stata avviata una qualche forma di discussione mi fa pensare che ci si sta avviando verso una stagione di progressivo disgelo».

2. ASSOFOND

L’impatto sull’attività degli associati

Al momento le difficoltà legate a costi e reperibilità delle materie prime è la principale incognita che grava sui prossimi mesi. La ripresa c’è e le aziende stanno lavorando bene. Due terzi e più delle fonderie italiane stanno marciando a ritmi superiori a quelli pre-Covid, e la stima è di poter recuperare il fatturato perduto nel 2020 già a fine 2021. «Ma un conto è il fatturato, un conto sono i margini – chiosa Ariotti -. I numeri, del resto, dicono tutto: la quotazione della ghisa da affinazione è passata da una media di 319 euro la tonnellata, rilevata a settembre 2020, ai 521 euro di maggio 2021 (+63%). Per quanto riguarda il rottame, il lamierino in pacchi è passato dai 303 euro/tonnellata di inizio settembre, agli oltre 438 euro di maggio (+45%). Anche il prezzo cash medio mensile dell’alluminio primario quotato al LME, dai minimi della primavera 2020 in un anno è aumentato del 60% (da circa 1.450 dollari/tonnellata a oltre 2.300 dollari/tonnellata). L’alluminio secondario ha avuto una dinamica ancora più esplosiva, sfiorando il 90% di incremento in un anno».

Naturale pensare che rincari così pesanti stanno creando enormi problemi al settore. E le aziende pensano, come prima difesa, a correggere i prezzi di vendita. Ma è un circolo vizioso che non può funzionare. Le fonderie sono spesso pmi, che occupano una posizione strategica nella catena del valore ma che hanno clienti di dimensioni enormi come i grandi gruppi dell’automotive, dell’energia, delle macchine utensili. È difficile ribaltare completamente sul prezzo dei getti gli incrementi dei fattori produttivi. Inoltre, oggi abbiamo un altro problema: il materiale scarseggia e i tempi di consegna sono lunghi. Per la ghisa in pani, ad esempio, proseguono le difficoltà del Brasile nel garantire le forniture, legate quasi certamente agli sviluppi della pandemia. A oggi, si ipotizza che i nuovi arrivi dal Sudamerica si potranno avere non prima dell’autunno.

Quali rischi per la ripresa?

È naturale pensare che vi siano delle ricadute sulla ripresa che risulta in qualche modo “azzoppata” a causa dell’incremento delle materie prime. I costi sempre maggiori, del resto, erodono i margini e complicano i piani di crescita e di investimento delle aziende, che magari devono rimandare qualche progetto di sviluppo per coprire i crescenti costi di produzione. «Ma il rischio più grande per la crescita dell’inflazione – aggiunge Ariotti – viene proprio dalla scarsità di materie prime. Abbiamo visto, ad esempio, i problemi che sta affrontando l’industria dell’auto con la carenza di chip. La scarsità di materie prime può arrivare a ridurre la produzione di beni: se si producono meno auto, i prezzi saranno più alti».

Quali interventi mettere in campo:

La situazione economica globale in questo periodo è estremamente fluida. Oltre alla forte ripresa della domanda di Cina e Stati Uniti, elementi che concorrono alla crescita delle materie prime sono i grandi piani economici post-pandemia, la transizione energetica e i problemi legati alla logistica, con il caro dei noli e situazioni imprevedibili, come ad esempio il recente blocco del canale di Suez. A tutto questo si aggiungono le nuove misure economiche cinesi volte a favorire l’import e disincentivare le esportazioni, per dare fiato alla domanda interna. «Dal primo maggio – chiosa Ariotti – è stato azzerato il dazio sull’import di lingotti e billette provenienti da Paesi fuori dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico ed è ora duty free anche l’importazione di ghisa, ferrocromorottame siderurgico. Inoltre, è stato eliminato lo sgravio fiscale di cui beneficiavano le esportazioni di una vasta gamma di prodotti siderurgici. Tutto questo per favorire la domanda interna. Noi ci troviamo in una posizione difficile. Si potrebbe forse pensare a misure per limitare l’export di rottame europeo, ma con le quotazioni attuali il materiale va dove ci sono acquirenti disposti a pagarlo, e la ripresa di Cina e Usa, in questo momento, mette gli operatori di quei Paesi in una posizione di forza».

Le richieste alle istituzioni

Un punto su cui Assofond chiede maggiore impegno da parte delle istituzioni è quello del mercato del lavoro: quasi tutte le imprese stanno cercando personale, poiché si tratta di un settore in cui il turnover è bassissimo, che offre lavoro stabile e opportunità di crescita professionale. Va incentivata la formazione professionalizzante e, più in generale, andrebbe riformata l’intera struttura del mercato del lavoro, eliminando la vergognosa dicotomia fra lavoratori iperprotetti e altri senza alcuna sicurezza. Serve incrementare l’efficienza delle politiche attive, favorendo la formazione e la riqualificazione di coloro che devono cambiare lavoro o che sono alla ricerca di una prima occupazione, e incentivando l’assunzione di giovani e di donne da parte delle imprese.

«Il governo ha messo a punto un piano di ripresa strutturato che mi auguro possa in tempi relativamente brevi far vedere i suoi effetti – aggiunge Ariotti -. Ora servono stimoli agli investimenti, in un momento in cui, come dicevo prima, i costi delle materie prime e la crisi della liquidità potrebbero portare molte imprese a rimandarli». L’ipotesi della cessione del credito d’imposta per gli incentivi di Transizione 4.0 poteva essere uno strumento importante: spero che ci possano essere margini per tornare sulla decisione di non prevederlo. Un altro tema chiave è la transizione verso l’economia circolare, che è cruciale proprio in un momento in cui le materie prime scarseggiano, e ancor di più in un Paese povero di risorse come il nostro. Le fonderie sono da sempre un modello avanzato di economia circolare: non solo riutilizzano rottame proveniente dalla demolizione di prodotti metallici giunti a fine vita, ma riciclano internamente anche quasi tutti gli scarti di produzione.

«Molto spesso, però, non riusciamo ad arrivare al 100% – conclude Ariotti – a causa di lacune in materia di end of waste ancora presenti nella legislazione italiana. Pensiamo alle terre esauste. Anche se riusciamo a riutilizzarne la maggior parte in sostituzione di sabbie e terre provenienti da attività estrattive, una quota parte non può essere reimpiegata nel processo, o perché in eccesso o perché, dopo un certo numero di cicli, non possiede più le caratteristiche fisiche necessarie a essere riutilizzata. L’assenza di una legislazione chiara in merito impone che questi residui di fonderia siano classificati come rifiuti e non come sottoprodotti, pertanto il loro riutilizzo, seppure tecnicamente realizzabile, è appesantito sia da vincoli burocratici, legati alla concessione delle autorizzazioni e alla gestione dei rifiuti (fideiussionicontrolliregistrazioni, ecc.) sia “culturali”, dovuti alla diffidenza legata alla gestione di un rifiuto e non di una merce e alla paura di possibili ripercussioni giudiziarie dovute a una non omogenea esecuzione dei controlli ed applicazione della legge. Il danno, in questo caso, è duplice: per le fonderie italiane, che devono affrontare ingenti costi per lo smaltimento perdendo competitività sul mercato globale, e per altri settori che potrebbero facilmente riutilizzare le nostre terre come materia prima secondaria a costi contenuti, in particolare nell’ambito della ceramica, dei laterizi e del vetro, in accordo con il modello della simbiosi industriale».